Australian Open
In giro a testa in giù per Down-Under
ENG: [This article has been originally published in Italian by the weekly D, one of my favorite magazines at the time, in April 2011. D is a supplement to La Repubblica, an Italian newspaper. For many years, I courted D to publish my personal travel reportages; then, one day, when I was living a different life, this incredible opportunity. The work is part of a wider project, produced by the Australian Tourism Office and Victoria State, where a selection of young European writers and journalists was invited to tell their stories in Australia. The reality behind the journey is that I was traveling India for a personal project and supported by a meticulous organization orchestrated by the international partners involved, I have been able to participate. I am still immensely thankful to all those who worked so that this unforgettable crossing could birth].
ITA: [L’articolo è stato pubblicato da D, supplemento al La Repubblica nell’ Aprile del 2011. Per anni ho corteggiato D per la pubblicazione dei miei reportage di viaggio; poi d’incanto questo invito da parte loro si materializzò. Il lavoro è parte di un viaggio prodotto dall’ ufficio del turismo australiano e dal Victoria State, dove un selezionato gruppo di giovani scrittori e giornalisti europei fu invitato a raccontarsi. La vera avventura è che ero per un progetto personale in viaggio in India e supportato da una meticolosa organizzazione dei partner internazionali coinvolti, sono riuscito comunque a partire. Ringrazio ancora immensamente tutti coloro che lavorarono affinchè questo attraversamento riuscì a prendere vita]
Questa che vi racconterò è una storia nella storia. Sono seduto all’aeroporto di Mumbai (Bombay), India, dove sto viaggiando da un mese. Imbarco per Melbourne a breve. È un invito dell’ Australian Tourism Office quello che ho tra le mani. Un viaggio attraverso luoghi e persone, lì giù, proprio Down-under, come si divertono a chiamare quella grande isola che è l’Australia.
È quasi un sogno. Forse. Non fosse che tre delle donne più importanti di questi 33 anni, mi hanno fatto il lavaggio del cervello con la Grande Isola. Fui lasciato per ben due estati da solo, come un allocco, da due di loro a distanza di pochi anni, perché sentivano un’attrazione irrefrenabile verso quella terra. Dovevano partire, non mi sono mai riuscito a spiegare il perché. Oggi, davanti a questo imbarco, mi continuo a fare alcune domande. Che cosa stavano andando a cercare in Australia?.
Provo una strana sensazione appena atterrato. In questo momento ho toccato tutti e cinque i continenti per la prima volta nella mia vita. È Qantas che mi fa questo regalo, quasi più di una compagnia aerea. È l’icona ed il veicolo che ogni australiano sogna per scoprire il mondo fuori da lì. C’ è l’autista Robert, origini italiane, il primo australiano con cui parlo. È Melbournian di nascita, Sidney non gliela nominare proprio. Ci dirigiamo regali verso il super trendy Cullen Hotel, nella stilosa zona di Prahran. Dopo un mese di equivoche stanze indiane da poche rupie, sono sdraiato su un letto king-size come un marajà australiano. Non resisto, inizio a saltarci sopra dall’euforia.
Sono qui per un progetto pan-europeo, sembra una barzelletta, 2 inglesi (the Sun e Cosmopolitan), un simpatico scrittore olandese, una piccola giornalista tedesca. Melbourne a Gennaio è un salto attraverso le stagioni. Piena estate, Australian Open di tennis in corso, in strada solo sandali, minigonne, pantaloncini, petti nudi, ormoni che sprizzano. Oddio, che avranno combinato quelle due in quei lunghi mesi lontano da me.
Inizio a camminare per la città. Facciamo un divertente hidden-tour tra luoghi cult del centro, negozi, cioccolaterie, locali, cinema sui tetti, trivia news e “lane” (vicoli) nascoste. Amo visceralmente esplorare i paesaggi urbani del pianeta. Mi sembra come se avessi già camminato per le strade di Melbourne, forse nei miei sogni. Inizio a leggere più di un negozio che si chiama Milano. Tra parrucchieri, moda maschile ed amenità varie. È la nostra guida che mi svela il segreto. Le due città dialogavano da tempo. Il 21 Luglio del 2004 Melbourne divenne Sister city di Milano, siglando un interessante gemellaggio culturale e commerciale. Puoi trovarci Londra e tutti gli angoli europei che vuoi tu. Una mescla di volti da tutto il mondo. Veramente un cut-and-paste metropolitano. Mi accorgo da subito di essere in uno degli esperimenti di rimescolamento razziale più interessanti del XX° secolo. Sin dai primi del ‘900 iniziarono sempre più ad aprire le porte a coloro che si sentivano pionieri. Europei, cinesi, afghani, mediorientali, britannici, venivano ad espiare i propri crimini o alla ricerca dell’oro sul nuovissimo mondo. In seguito alla seconda guerra mondiale si inventarono la populate or perish policy, dove invitavano Europei a venire a vivere in Australia per poter iniziare a costruire il tessuto di una nazione che si potesse difendere da sola.
Probabilmente anche lo scarafaggio che mi attraversa la strada mentre vado all’internet caffè è consapevole dell’incredibile e fragile miracolo economico che il paese di cui è ospite sta vivendo in questi anni. La parola recessione non sembra l’abbiano mai sentita, si respira ovunque, in superficie, un’aria di festa. È un economia fortemente legata alla locomotiva cinese. Nel bene e nel male. Lo spettro del ciclone che è passato da poco e di quello che si abbatterà di nuovo sullo stato del Queensland è nell’aria. È una strana Estate 2011 per l’Australia quest’anno ed i giorni di cielo cupo è meglio smettere di contarli.
I giovani australiani delle metropoli costiere sprizzano un’ energia ed una fiducia che era anni che non vivevo. Una ragazza alla fermata del bus desta la mia attenzione. Ha un modo di fare diverso. Mi dice “sono di Wagga Wagga, non lontano da qui, in provincia”. Le chiedo senza timore “Perché?”, lei mi guarda interrogativa. “Perché secondo te mi hanno lasciato per venire qui?” Sorride, mi dice che viviamo in un mondo strano e che aveva avuto il problema inverso, non vedeva da mesi il suo ragazzo, fuggito in Europa alla ricerca di stimoli. Ultima volta che era stato avvistato, Budapest. Assurdo, noi in viaggio verso i grandi spazi del nuovissimo mondo, loro verso l’ormai molto vecchio continente.
Mi sento sempre più a mio agio in questa città che diviene Luna park a scala urbana. St.Kilda e la sua dimensione sportiva, sguazzando nella baia di Philipps e subito Acland Street, la via delle pasticcerie e delle fette di torta esposte in vetrina. Il sole si stanca tardi, come camaleonti siamo guidati attraverso le mille movide notturne della città. Incredibile, in una sola notte riesco a ballare al Cherry Bar di AC/DC lane heavy metal con decine di scalmanati, sorseggiare un drink al Madame Brussels, un garden bar alquanto “English” e ballare ai ritmi rockabilli degli anni ’50 del famoso Red Bennies. Come è possibile che le scene siano così accessibili e piuttosto, come è possibile che sia tutto pieno ovunque? In Australia, quella sera va storta solo alla sua nazionale di calcio che perde i campionati asiatici contro il Giappone di Zaccheroni in Qatar. Ragazzi ovunque, da tutte le parti del mondo, grazie all’intelligente politica delle working holiday visa che da la possibilità a giovani di solo alcuni paesi (peccato!), tra i 18 ed i 30 anni di vivere un’ esperienza di vita lì giù, Down-under. C’è un lavoro per tutti i gusti e divenendo mecca preferita di molti under 30, le stesse città si attrezzano per ospitare orde di ragazzi. In Australia si forgia con stile il concetto di cultura backpacker. Visitiamo uno degli ostelli più innovativi che abbia mai visto. Siamo a St.Kilda beach, dove puoi suonare il tuo strumento preferito e fare una jam session con altri backpackers in viaggio. Sei all’ HabitatHQ di Melbourne dove probabilmente il rischio è che l’ostello è talmente confortevole e sensuale che tu non vedrai nulla della città.
Il viaggio è l’unico antidoto per guardarsi dentro. Inizio a capire l’esigenza di voler andare. Non hai ben chiaro dove, ma vuoi andare. Per le mie due ragazze, l’Australia significava andare, rispondendo con i propri passi alla condizione di insofferenza ed irrequietezza che spesso ti attanaglia. Volevano essere pioniere dei loro destini ed io ero in mezzo alla loro storia personale. Quando si è giovani non è mai facile affrontare il fatto di arrivare secondi.
Sento che Melbourne mi vuole sempre più bene. Cammino per il quartiere di Fitzroy che sembra disegnato attorno ai miei interessi. Io sono il suo target. Librerie alternative, negozi di musica psichedelica, gelaterie e boutique di vestiti da circo. Non sto nella pelle. Questa città, con il suo micro clima anche piovoso, ha dei tratti magici ed esoterici ed un forte personalità. Se fosse un film credo sarebbe Moulin Rouge di Baz Luhrmann, per il suo carattere bourlesque ed equivoco. Come fosse un gioco, per scacciare questo mood pensieroso su donne, destino e destinazioni, chiedo in cinque librerie diverse qual è il testo di narrativa in cui gli australiani si sentono più rappresentati. C’ è solo una risposta, Cloudstreet di Tim Winton vince su tutti. Ne faccio tesoro.
Le emozioni si susseguono veloci. Sveglia presto, tutti in pulmino per una due giorni tra onde e paesaggi sconfinati. Si parte da Melbourne. A sinistra c’è l’oceano ed oltre la Tasmania, sulla destra alberi dall’odore di eucalipto e koala arrotolati che ti salutano lenti. Stiamo sfrecciando sulla Great Ocean Road con due esilaranti guide dell’ Autopian Tour. Da lì a poco surferemo le onde dell’oceano. È lì che incontro una coppia di ragazzi tedeschi in un pulmino da sogno. Mi dicono che sono venuti qui per stare insieme e fare surf, almeno 6 mesi. Mi salutano e vanno a riscaldarsi prima di vederli allontanarsi da me e domare le onde. Cerco di non farmi cogliere da quel sentimento che è l’invidia. Bisogna fare come loro. Prendere la giusta onda.
Nelle accelerazioni spaziali per poter vedere e vivere il più possibile, ci attende un volo interno. Davvero interno. Atterriamo nel far west dell’Australia. Siamo ad Alice Spring, la roccaforte della cultura aborigena. Sono ormai giorni che siamo sull’isola e non si è vista neanche l’ombra di un nativo. Siamo nei Northern Territory, è qui che si modella la volontà di una convivenza, la delicata relazione tra coloro che vivevano qui e “gli invasori” venuti da ogni dove. Uno strano senso di spaesamento mi prende alla testa. Non sei solo in una cittadina, sei nell’epicentro di una cultura millenaria che fa perno simbolico su quell’incredibile grande, enorme, alieno sasso rosso al centro dell’Australia, nel mezzo del deserto, Uluru in aborigeno, Ayers Rock in forestiero. Luogo sacro, dai mille colori e suggestioni, dove storie, miti ed animali si confondono in leggende e credenze fortissime. Talmente tanto suggestivo che la prima notte che dormiamo nel deserto sotto le stelle mi appaiono in sogno tutte e due le bellissime ragazze di cui ero stato innamorato. Il ragù di canguro con la pasta era delizioso e digeribilissimo essendo una carne molto magra; credo che sia stato stimolato dalle vivide storie sull’era del sogno, il DreamTime, l’epoca antecedente alla creazione del mondo, nella mitologia aborigena. Chissà perché sognare le due ex-ragazze? Ognuno ha davvero il proprio walkabout spirituale, il lungo viaggio rituale che gli australiani aborigeni saltuariamente intraprendono attraversando a piedi le distese del bush. Magari a cavallo dei cammelli che ho notato con stupore.
Da questo momento in poi il gruppo si divide. Ad ovest verso Perth, a nord verso Darwin, io felice verso Sydney. I giorni nel deserto li ricorderò incredibili e marziani, caldi e dal tempo anomalo a causa degli sconvolgimenti climatici portati dal ciclone Yasi.
È una fortuna camminare in una nuova città sapendo che ci sono energie “di famiglia”. Qui c’è la piccola grande Kathrina, la mia cara amica AbC di Sydney Australian born Chinese. Per ben 5 anni ha tentato di rimanere a Roma come designer. Ed è lì che ci siamo conosciuti. Assurdo come pur provando tale amore per il nostro paese, lei non sia riuscita a farcela, sommersa dalle complicazioni burocratiche e la poca serietà di alcuni datori di lavoro. Mi sorprende quando ammette che la prima volta che la fecero sentire asiatica, fu proprio a Roma; lei, che per tutti quegli anni si era considerata così australiana è ritornata con gioia da dove era partita ammettendo che forse il sogno è qui e non se ne era accorta prima. L’intera città è immersa in una parata enorme in onore del capodanno cinese, festeggiamo tra migliaia di asiatici l’ingresso nell’anno del Coniglio ed il nostro incontro. Un particolare mi continua a ronzare in testa sulla strada per l’ Aeroporto. “Ma che ci facevano quei cammelli nel deserto?”. La risposta me la da il mio affabile autista inglese da 36 anni australiano. Furono gli afghani a portare i primi cammelli qui. Notarono che gli animali si adattavano benissimo al territorio, che anzi, amavano la nuova terra e non volevano più tornare indietro. Fortunatamente le due ragazze non fecero quella fine. Le vidi tornare in Italia e continuammo il nostro walkabout insieme per poi ridividerci nei nostri cammini.
Decollo. Volo. Atterraggio. La panna montata delle nuvole mi ricorda che sono quasi arrivato in Italia. L’Australia è contenuta nell’India che a sua volta è raccolta dalla vita italiana. A breve tornerò a Milano per continuare a sviluppare, con uno dei miei migliori amici, un progetto di gelateria con 100 gusti tutti naturali. Il mio maestro è a Roma. Sapevo che non l’avrei trovato in India…per ora.
Lorenzo Fresh
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